RVF no. 72
nel mover de' vostr'occhi un dolce lume
che mi mostra la via ch'al ciel conduce;
et per lungo costume,
dentro la dove sol con Amor seggio,
quasi visibilmente il cor traluce.
Questa e la vista ch'a ben far m'induce,
et che mi scorge al glorioso fine;
questa sola dal vulgo m'allontana:
ne gia mai lingua humana
contar poria quel che le due divine
luci sentir mi fanno,
e quando 'l verno sparge le pruine,
et quando poi ringiovenisce l'anno
qual era al tempo del mio primo affanno.
Io penso: se la suso,
onde 'l motor eterno de le stelle
degno mostrar del suo lavoro in terra,
son l'altr'opre si belle,
aprasi la pregione, ov'io son chiuso,
et che 'l camino a tal vita mi serra.
Poi mi rivolgo a la mia usata guerra,
ringratiando Natura e 'l di ch'io nacqui
che reservato m'anno a tanto bene,
et lei ch'a tanta spene
alzo il mio cor: che 'nsin allor io giacqui
a me noioso et grave,
da quel di inanzi a me medesmo piacqui,
empiendo d'un pensier alto et soave
quel core ond'anno i begli occhi la chiave.
Ne mai stato gioioso
Amor o la volubile Fortuna
dieder a chi piu fur nel mondo amici,
ch'i' nol cangiassi ad una
rivolta d'occhi, ond'ogni mio riposo
vien come ogni arbor vien da sue radici.
Vaghe faville, angeliche, beatrici
de la mia vita, ove 'l piacer s'accende
che dolcemente mi consuma et strugge:
come sparisce et fugge
ogni altro lume dove'l vostro splende,
cosi de lo mio core,
quando tanta dolcezza in lui discende,
ogni altra cosa, ogni penser va fore,
et solo ivi con voi rimanse Amore.
Quanta dolcezza unquancho
fu in cor d'aventurosi amanti, accolta
tutta in un loco, a quel ch'i' sento e nulla,
quando voi alcuna volta
soavemente tra 'l bel nero e 'l biancho
volgete il lume in cui Amor si trastulla;
et credo da le fasce et da la culla
al mio imperfecto, a la Fortuna adversa
questo rimedio provedesse il cielo.
Torto mi face il velo
et la man che si spesso s'atraversa
fra 'l mio sommo dilecto
et gli occhi, onde di et notte si rinversa
il gran desio per isfogare il petto,
che forma tien dal variato aspetto.
Perch'io veggio, et mi spiace,
che natural mia dote a me non vale
ne mi fa degno d'un si caro sguardo,
sforzomi d'esser tale
qual a l'alta speranza si conface,
et al foco gentil ond'io tutt'ardo.
S'al ben veloce, et al contrario tardo,
dispregiator di quanto 'l mondo brama
per solicito studio posso farme,
porrebbe forse aitarme
nel benigno iudicio una tal fama:
Certo il fin de' miei pianti,
che non altronde il cor doglioso chiama,
ven da' begli occhi alfin dolce tremanti,
ultima speme de' cortesi amanti.
Canzon, l'una sorella e poco inanzi,
et l'altra sento in quel medesmo albergo
apparechiarsi; ond'io piu carta vergo.