RVF no. 360
fatto citar dinanzi a la reina
che la parte divina
tien di natura nostra e 'n cima sede,
ivi, com'oro che nel foco affina,
mi rappresento cerco di dolore,
di paura et d'orrore,
quasi huom che teme morte et ragion chiede;
e 'ncomincio: " Madonna, il manco piede
giovenetto pos'io nel costui regno,
ond'altro ch'ira et sdegno
non ebbi mai; et tanti et si diversi
tormenti ivi soffersi,
ch'alfine vinta fu quell'infinita
mia patientia, e 'n odio ebbi la vita.
Cosi 'l mio tempo infin qui trapassato
e in fiamma e 'n pene: et quante utili honeste
vie sprezzai, quante feste,
per servir questo lusinghier crudele!
Et qual ingegno a si parole preste,
che stringer possa 'l mio infelice stato,
et le mie d'esto ingrato
tanto et si gravi e si giuste querele?
O poco mel, molto aloe con fele!
In quanto amaro a la mia vita avezza
con sua falsa dolcezza,
la qual m'atrasse a l'amorosa schiera!
Che s'i' non m'inganno, era
disposto a sollevarmi alto da terra:
e' mi tolse di pace et pose in guerra.
Questi m'a fatto men amare Dio
ch'i' non deveva, et men curar me stesso:
per una donna o messo
egualmente in non cale ogni pensero.
Di cio m'e stato consiglier sol esso,
sempr'aguzzando il giovenil desio
a l'empia cote, ond'io
sperai riposo al suo giogo aspro et fero.
Misero, a che quel chiaro ingegno altero,
et l'altre doti a me date dal cielo?
che vo cangiando 'l pelo,
ne cangiar posso l'ostinata voglia:
cosi in tutto mi spoglia
di liberta questo crudel ch'i' accuso,
ch'amaro viver m'a volto in dolce uso.
Cercar m'a fatto deserti paesi,
fiere et ladri rapaci, hispidi dumi,
dure genti et costumi,
et ogni error che' pellegrini intrica,
monti, valli, paludi et mari et fiumi,
mille lacciuoli in ogni parte tesi;
e 'l verno in strani mesi,
con pericol presente et con fatica:
ne costui ne quell'altra mia nemica
ch'i' fuggia, mi lasciavan sol un punto;
onde, s'i' non son giunto
anzi tempo da morte acerba et dura,
pieta celeste a cura
di mia salute non questo tiranno
che del mio duol si pasce, et del mio danno.
Poi che suo fui non ebbi hora tranquilla,
ne spero aver, et le mie notti il sonno
sbandiro, et piu non ponno
per herbe o per incanti a se ritrarlo.
Per inganni et per forza e fatto donno
sovra miei spirti; et no sono poi squilla,
ov'io sia, in qualche villa,
ch'i' non l'udisse. Ei sa che 'l vero parlo:
che legno vecchio mai non rose tarlo
come questi 'l mio core, in che s'annida,
et di morte lo sfida.
Quinci nascon le lagrime e i martiri,
le parole e i sospiri,
di ch'io mi vo stancando, et forse altrui.
Giudica tu, che me conosci et lui. "
Il mio adversario con agre rampogne
comincia: " O donna, intendi l'altra parte,
che 'l vero, onde si parte
quest'ingrato, dira senza defecto.
Questi in sua prima eta fu dato a l'arte
da vender parolette, anzi menzogne;
ne par che si vergogne,
tolto da quella noia al mio dilecto,
lamentarsi di me, che puro et netto,
contra 'l desio, che spesso il suo mal vole,
lui tenni, ond'or si dole,
in dolce vita, ch'ei miseria chiama:
salito in qualche fama
solo per me, che 'l suo intellecto alzai
ov'alzato per se non fora mai.
Ei sa che 'l grande Atride et l'alto Achille,
et Hanibal al terren vostro amaro,
et di tutti il piu chiaro
un altro et di vertute et di fortuna,
com'a ciascun le sue stelle ordinaro,
lasciai cader in vil amor d'ancille:
et a costui di mille
donne electe, excellenti, n'elessi una,
qual non si vedra mai sotto la luna,
benche Lucretia ritornasse a Roma;
et si dolce ydioma
le diedi, et un cantar tanto soave,
che penser basso o grave
non pote mai durar dinanzi a lei.
Questi fur con costui li 'nganni mei.
Questo fu il fel, questi li sdegni et l'ire,
piu dolci assai che di null'altra il tutto.
Di bon seme mal frutto
mieto; et tal merito a chi 'ngrato serve.
Si l'avea sotto l'ali mie condutto,
ch'a donne et cavalier piacea il suo dire;
et si alto salire
i''l feci, che tra' caldi ingegni ferve
il suo nome et de' suoi detti conserve
si fanno con diletto in alcun loco;
ch'or saria forse un roco
mormorador di corti, un huom del vulgo:
i' l'exalto et divulgo,
per quel ch'elli 'mparo ne la mia scola,
et da colei che fu nel mondo sola.
Et per dir a l'extremo il gran servigio,
da mille acti inhonesti l'o ritratto,
che mai per alcun pacto
a lui piacer non poteo cosa vile:
giovene schivo et vergognoso in acto
et in penser, poi che fatto era huom ligio
di lei ch'alto vestigio
li 'mpresse al core, et fecel suo simile.
Quanto a del pellegrino et del gentile,
da lei tene, et da me, di cui si biasma.
Mai nocturno fantasma
d'error non fu si pien com'ei ver' noi:
ch'e in gratia, da poi
che ne conobbe, a Dio et a la gente.
Di cio il superbo si lamenta et pente.
Ancor, et questo e quel che tutto avanza,
da volar sopra 'l ciel li avea dat'ali
per le cose mortali,
che son scala al fattor, chi ben l'estima;
che mirando ei ben fiso quante et quali
eran vertuti in quella sua speranza,
d'una in altra sembianza
potea levarsi a l'alta cagion prima;
et ei l'a detto alcuna volta in rima,
or m'a posto in oblio con quella donna
ch'i' li die' per colonna
de la sua frale vita. " A questo un strido
lagrimoso alzo et grido:
" Ben me la die', ma tosto la ritolse. "
Responde: " Io no, ma Chi per se la volse. "
Alfin ambo conversi al giusto seggio,
i' con tremanti, ei con voci alte et crude,
ciascun per se conchiude:
" Nobile donna, tua sententia attendo. "
Ella allor sorridendo:
" Piacemi aver vostre questioni udite,
ma piu tempo bisogna a tanta lite.