RVF no. 359
per dar riposo a la mia vita stanca
ponsi del letto in su la sponda manca
con quel suo dolce ragionare accorto,
tutto di pieta et di paura smorto
dico:" Onde vien' tu ora, o felice alma? "
Un ramoscel di palma
et un di lauro trae del suo bel seno,
et dice:" Dal sereno
ciel empireo et di quelle sante parti
mi mossi et vengo sol per consolarti ".
In atto et in parole la ringratio
humilmente, et poi demando: " Or donde
sai tu il mio stato? " Et ella: " Le triste onde
del pianto, di che mai tu non se' satio,
coll'aura de' sospir', per tanto spatio
passano al cielo, et turban la mia pace:
si forte ti dispiace
che di questa miseria sia partita,
et giunta a miglior vita;
che piacer ti devria, se tu m'amasti
quanto in sembianti et ne' tuoi dir' mostrasti ".
Rispondo: " Io non piango altro che me stesso
che son rimaso in tenebre e 'n martire,
certo sempre del tuo al ciel salire
come di cosa ch'uom vede da presso.
Come Dio et Natura avrebben messo
in un cor giovenil tanta vertute,
se l'eterna salute
non fusse destinata al tuo ben fare,
o de l'anime rare,
ch'altamente vivesti qui tra noi,
et che subito al ciel volasti poi?
Ma io che debbo altro che pianger sempre,
misero et sol, che senza te son nulla?
Ch'or fuss'io spento al latte et a la culla,
per non provar de l'amorose tempre! "
Et ella: " A che pur piangi et ti distempre?
Quanto era meglio alzar da terra l'ali,
et le cose mortali
et queste dolci tue fallaci ciance
librar con giusta lance,
et seguir me, s'e ver che tanto m'ami,
cogliendo omai qualchun di questi rami! "
" I' volea demandar " respond'io allora :
" Che voglion importar quelle due frondi? "
Et ella: " Tu medesmo ti rispondi,
tu la cui non penna tanto l'una honora:
palma e victoria, et io, giovene anchora,
vinsi il mondo, et me stessa; il lauro segna
triumpho, ond'io son degna,
merce di quel Signor che mi die' forza.
Or tu, s'altri ti sforza,
a Lui ti volgi, a Lui chiedi soccorso,
si che siam Seco al fine del tuo corso ".
" Son questi i capei biondi, et l'aureo nodo, "
dich'io " ch'ancor mi stringe, et quei belli occhi
che fur mio sol? " " Non errar con li sciocchi,
ne parlar " dice " o creder a lor modo.
Spirito ignudo sono, e 'n ciel mi godo:
quel che tu cerchi e terra, gia molt'anni,
ma per trarti d'affanni
m'e dato a parer tale; et anchor quella
saro, piu che mai bella,
a te piu cara, si selvaggia et pia,
salvando inseme tua salute et mia ".
I' piango; et ella il volto
co le sue man' m'asciuga, et poi sospira
dolcemente, et s'adira
con parole che i sassi romper ponno:
et dopo questo si parte ella, e 'l sonno.