RVF no. 270
come par che tu mostri, un'altra prova
meravigliosa et nova,
per domar me, conventi vincer pria.
Il mio amato tesoro in terra trova,
che m'e nascosto, ond'io son si mendico,
e 'l cor saggio pudico,
ove suol albergar la vita mia;
et s'egli e ver che tua potentia sia
nel ciel si grande come si ragiona,
et ne l'abisso (perche qui fra noi
quel che tu val' et puoi,
credo che 'l sente ogni gentil persona),
ritogli a Morte quel ch'ella n'a tolto,
et ripon' le tue insegne nel bel volto.
Riponi entro 'l bel viso il vivo lume
ch'era mia scorta, et la soave fiamma
ch'anchor, lasso, m'infiamma
essendo spenta: or che fea dunque ardendo?
E' non si vide mai cervo ne damma
con tal desio cercar fonte ne fiume,
qual io il dolce costume
onde o gia molto amaro; et piu n'attendo,
se ben me stesso et mia vaghezza intendo,
che mi fa vaneggiar sol del pensero,
et gire in parte ove la strada manca,
et co la mente stanca
cosa seguir che mai giugner non spero.
Or al tuo richiamar venir non degno,
che segnoria non ai fuor del tuo regno.
Fammi sentir de quell'aura gentile
di for, si come dentro anchor si sente;
la qual era possente,
cantando, d'acquetar li sdegni et l'ire,
di serenar la tempestosa mente
et sgombrar d'ogni nebbia oscura et vile,
ed alzava il mio stile
sovra di se, dove or non poria gire.
Aguaglia la speranza col desire;
et poi che l'alma e in sua ragion piu forte,
rendi agli occhi, agli orecchi il proprio obgetto,
senza qual imperfetto
e lor oprare, e 'l mio vivere e morte.
Indarno or sovra me tua forza adopre,
mentre 'l mio primo amor terra ricopre.
Fa ch'io riveggia il bel guardo, ch'un sole
fu sopra 'l ghiaccio ond'io solea gir carco;
fa' ch'i' ti trovi al varco,
onde senza tornar passo 'l mio core;
prendi i dorati strali, et prendi l'arco,
et facciamisi udir, si come sole,
col suon de le parole
ne le quali io imparai che cosa e amore;
movi la lingua, ov'erano a tutt'ore
disposti gli ami ov'io fui preso, et l'esca
ch'i' bramo sempre; e i tuoi lacci nascondi
fra i capei crespi et biondi,
che il mio voler altrove non s'invesca;
spargi co le tue man' le chiome al vento,
ivi mi lega, et puo' mi far contento.
Dal laccio d'or non sia mai chi me scioglia,
negletto ad arte, e 'nnanellato et hirto,
ne de l'ardente spirto
de la sua vista dolcemente acerba,
la qual di et notte piu che lauro o mirto
tenea in me verde l'amorosa voglia,
quando si veste et spoglia
di fronde il bosco, et la campagna d'erba.
Ma poi che Morte e stata si superba
che spezzo il nodo ond'io temea scampare,
ne trovar poi, quantunque gira il mondo,
di che ordischi 'l secondo,
che giova, Amor, tuoi ingegni ritentare?
Passata e la stagion, perduto ai l'arme,
di ch'io tremava: ormai che puoi tu farme?
L'arme tue furon gli occhi, onde l'accese
saette uscivan d'invisibil foco,
et ragion temean poco,
che 'ncontra 'l ciel non val difesa humana;
il pensar e 'l tacer, il riso e 'l gioco,
l'abito honesto e 'l ragionar cortese,
le parole che 'ntese
avrian fatto gentil d'alma villana,
l'angelica sembianza, humile et piana,
ch'or quinci or quindi udia tanto lodarsi;
e 'l sedere et lo star, che spesso altrui
poser in dubbio a cui
devesse il pregio di piu laude darsi.
Con quest'arme vincevi ogni cor duro:
or se' tu disarmato; i' son securo.
Gli animi ch'al tuo regno il cielo inchina
leghi ora in uno et ora in altro modo;
ma me sol ad un nodo
legar potei, che 'l ciel di piu non volse.
Quel'uno e rotto; e 'n liberta non godo
ma piango et grido: " Ahi nobil pellegrina,
qual sententia divina
me lego inanzi, et te prima disciolse?
Dio, che si tosto al mondo ti ritolse,
ne mostro tanta et si alta virtute
solo per infiammar nostro desio ".
Certo ormai non tem'io,
Amor, de la tua man nove ferute;
indarno tendi l'arco, a voito scocchi;
sua virtu cadde al chiuder de' begli occhi.
Morte m'a sciolto, Amor, d'ogni tua legge:
quella che fu mia donna al ciel e gita,
lasciando trista et libera mia vita.