RVF no. 23
che nascer vide et anchor quasi in herba
la fera voglia che per mio mal crebbe,
perche cantando il duol si disacerba,
cantero com'io vissi in libertade,
mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe.
Poi seguiro si come a lui ne 'ncrebbe
troppo altamente, e che di cio m'avvenne,
di ch'io son facto a molta gente exempio:
benche 'l mio duro scempio
sia scripto altrove, si che mille penne
ne son gia stanche, et quasi in ogni valle
rimbombi il suon de' miei gravi sospiri,
ch'aquistan fede a la penosa vita.
E se qui la memoria non m'aita
come suol fare, iscusilla i martiri,
et un penser che solo angoscia dalle,
tal ch'ad ogni altro fa voltar le spalle,
e mi face obliar me stesso a forza:
che ten di me quel d'entro, et io la scorza.
I' dico che dal di che 'l primo assalto
mi diede Amor, molt'anni eran passati,
si ch'io cangiava il giovenil aspetto;
e d'intorno al mio cor pensier' gelati
facto avean quasi adamantino smalto
ch'allentar non lassava il duro affetto.
Lagrima anchor non mi bagnava il petto
ne rompea il sonno, et quel che in me non era,
mi pareva un miracolo in altrui.
Lasso, che son! che fui!
La vita el fin, e 'l di loda la sera.
Che sentendo il crudel di ch'io ragiono
infin allor percossa di suo strale
non essermi passato oltra la gonna,
prese in sua scorta una possente donna,
ver' cui poco gia mai mi valse o vale
ingegno, o forza, o dimandar perdono;
e i duo mi trasformaro in quel ch'i' sono,
facendomi d'uom vivo un lauro verde,
che per fredda stagion foglia non perde.
Qual mi fec'io quando primier m'accorsi
de la trasfigurata mia persona,
e i capei vidi far di quella fronde
di che sperato avea gia lor corona,
e i piedi in ch'io mi stetti, et mossi, et corsi,
com'ogni membro a l'anima risponde,
diventar due radici sovra l'onde
non di Peneo, ma d'un piu altero fiume,
e n' duo rami mutarsi ambe le braccia!
Ne meno anchor m' agghiaccia
l'esser coverto poi di bianche piume
allor che folminato et morto giacque
il mio sperar che tropp'alto montava:
che perch'io non sapea dove ne quando
me 'l ritrovasse, solo lagrimando
la 've tolto mi fu, di e nocte andava,
ricercando dallato, et dentro a l'acque;
et gia mai poi la mia lingua non tacque
mentre poteo del suo cader maligno:
ond'io presi col suon color d'un cigno.
Cosi lungo l'amate rive andai,
che volendo parlar, cantava sempre
merce chiamando con estrania voce;
ne mai in si dolci o in si soavi tempre
risonar seppi gli amorosi guai,
che 'l cor s'umiliasse aspro et feroce.
Qual fu a sentir? che 'l ricordar mi coce:
ma molto piu di quel, che per inanzi
de la dolce et acerba mia nemica
e bisogno ch'io dica,
benche sia tal ch'ogni parlare avanzi.
Questa che col mirar gli animi fura,
m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano,
dicendo a me: Di cio non far parola.
Poi la rividi in altro habito sola,
tal ch'i' non la conobbi, oh senso humano,
anzi le dissi 'l ver pien di paura;
ed ella ne l'usata sua figura
tosto tornando, fecemi, oime lasso,
d'un quasi vivo et sbigottito sasso.
Ella parlava si turbata in vista,
che tremar mi fea dentro a quella petra,
udendo: I' non son forse chi tu credi.
E dicea meco: Se costei mi spetra,
nulla vita mi fia noiosa o trista;
a farmi lagrimar, signor mio, riedi.
Come non so: pur io mossi indi i piedi,
non altrui incolpando che me stesso,
mezzo tutto quel di tra vivo et morto.
Ma perche 'l tempo e corto,
la penna al buon voler non po gir presso:
onde piu cose ne la mente scritte
vo trapassando, et sol d'alcune parlo
che meraviglia fanno a chi l'ascolta.
Morte mi s'era intorno al cor avolta,
ne tacendo potea di sua man trarlo,
o dar soccorso a le vertuti afflitte;
le vive voci m'erano interditte;
ond'io gridai con carta et con incostro:
Non son mio, no. S'io moro, il danno e vostro.
Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi
d'indegno far cosi di merce degno,
et questa spene m'avea fatto ardito:
ma talora humilta spegne disdegno,
talor l'enfiamma; et cio sepp'io da poi,
lunga stagion di tenebre vestito:
ch'a quei preghi il mio lume era sparito.
Ed io non ritrovando intorno intorno
ombra di lei, ne pur de' suoi piedi orma,
come huom che tra via dorma,
gittaimi stancho sovra l'erba un giorno.
Ivi accusando il fugitivo raggio,
a le lagrime triste allargai 'l freno,
et lasciaile cader come a lor parve;
ne gia mai neve sotto al sol disparve
com'io senti' me tutto venir meno,
et farmi una fontana a pie' d'un faggio.
Gran tempo humido tenni quel viaggio.
Chi udi mai d'uom vero nascer fonte?
E parlo cose manifeste et conte.
L'alma ch'e sol da Dio facta gentile,
che gia d'altrui non po venir tal gratia,
simile al suo factor stato ritene:
pero di perdonar mai non e sacia
a chi col core et col sembiante humile
dopo quantunque offese a merce vene.
Et se contra suo stile essa sostene
d'esser molto pregata, in Lui si specchia,
et fal perche 'l peccar piu si pavente:
che non ben si ripente
de l'un mal chi de l'altro s'apparecchia.
Poi che madonna da pieta commossa
degno mirarme, et ricognovve et vide
gir di pari la pena col peccato,
benigna mi redusse al primo stato.
Ma nulla a 'l mondo in ch'uom saggio si fide:
ch'ancor poi ripregando, i nervi et l'ossa
mi volse in dura selce; et cosi scossa
voce rimasi de l'antiche some,
chiamando Morte, et lei sola per nome.
Spirto doglioso errante (mi rimembra)
per spelunche deserte et pellegrine,
piansi molt'anni il mio sfrenato ardire:
et anchor poi trovai di quel mal fine,
et ritornai ne le terrene membra,
credo per piu dolore ivi sentire.
I' segui' tanto avanti il mio desire
ch'un di cacciando si com'io solea
mi mossi; e quella fera bella et cruda
in una fonte ignuda
si stava, quando 'l sol piu forte ardea.
Io, perche d'altra vista non m'appago,
stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna;
et per farne vendetta, o per celarse,
l'acqua nel viso co le man' mi sparse.
Vero diro (forse e' parra menzogna)
ch'i' senti' trarmi de la propria imago,
et in un cervo solitario et vago
di selva in selva ratto mi trasformo:
et anchor de' miei can' fuggo lo stormo.
Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro
che poi discese in pretiosa pioggia,
si che 'l foco di Giove in parte spense;
ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense,
et fui l'uccel che piu per l'aere poggia,
alzando lei che ne' miei detti honoro:
ne per nova figura il primo alloro
seppi lassar, che pur la sua dolce ombra
ogni men bel piacer del cor mi sgombra.